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LA CULTURA


Il Mali ha visto nel corso della sua storia avvicendarsi diversi imperi ricchi e fiorenti, grazie alla posizione geografica che vedeva il paese situato lungo le vie commerciali che attraversavano il Sahara per raggiungere l'Africa centrale. Lo sviluppo delle potenze marittime europee e l'abbandono delle vie che attraversavano il deserto per quelle marittime, hanno distrutto poco per volta le fondamenta della sua ricchezza. Timbouctou nel 1300 era una città rinomata per la sua ricchezza e per essere un centro culturale di primaria importanza, ma l'invasione berbera nel XVI secolo e lo sviluppo dei traffici commerciali europei distrussero le fondamenta della ricchezza del paese.
La colonizzazione francese, dal 1883 al 1960, ha lasciato numerose tracce infrastrutturali e culturali in un paese caratterizzato dalla presenza di etnie diverse: i bambara, i malinké, i sarakolé, i peul, i tuareg, i dogon, i songhai, i bozo, ciascuno con una propria lingua o un proprio dialetto. Sono fioriti nel contempo numerosi studi antropologici in particolare francesi ed è proprio grazie ad uno di essi, che Marcel Griaule nel 1948 portò alla ribalta del mondo la complessità e ricchezza della cultura del popolo Dogon.
L'epoca coloniale ha cominciato ad incidere profondamente sull'economia tradizionale indigena, essendo questa basata sulla produzione di beni per la soddisfazione dei bisogni primari e non avendo invece obiettivi di profitto come quella occidentale. E' iniziato allora un processo di acculturazione che ha prodotto il diffondersi della lingua francese, obiettivo questo risultato poi funzionale alle necessità comunicativa tra etnie che parlavano lingue o dialetti diversi, ma l'intento principale era quello di modificare i modelli di pensiero e di valori, nel tentativo di trasferirvi quelli occidentali, che puntano sul profitto e sullo sfruttamento delle risorse. L'incontro tra popoli diversi ha sempre determinato nel corso della storia processi acculturativi, generalmente caratterizzati dalla reciprocità; il carattere aggressivo ed espansionista della cultura occidentale, sostenuto dallo sviluppo tecnologico, fa sì che questo rapporto sia fortemente asimmetrico, a vantaggio della cultura "più forte", producendo quindi la deculturazione cioè la disintegrazione della cultura tecnologicamente più debole.
Tale crisi può comportare anche fasi di vuoto culturale, in cui accanto alla sfiducia nei valori tradizionali, non è possibile nel contempo operare scelte alternative in quanto gli altri valori importati vengono vissuti come estranei (questa situazione è ben descritta da Achebe nel suo romanzo "Il crollo- Ormai a disagio").
Chiusasi l'epoca coloniale, non si è chiuso però il processo di deculturazione, attuato ora in forma non più diretta, ma in modo indiretto e quindi più difficile da affrontare e più subdolo, attraverso i moderni mezzi di comunicazione, la diffusione del mercato globale e le strategie politiche adottate che hanno generato una forma di neocolonialismo, più radicale e distruttivo del precedente. Capita così di vedere nei paesi africani, accanto a realtà come quelle dei villaggi la cui vita è condizionata dalla scarsità di produzione agricola destinata all'alimentazione locale, dalla mancanza dell' acqua, dalle condizioni igieniche precarie, dall'assenza di servizi di ogni natura, dalle malattie e dalla fame, coesistere realtà come quelle urbane dove si ostentano modelli di vita di tipo occidentale, caratterizzati dal consumismo, dove il possesso di strumenti tecnologici rappresenta un potente status simbolo di riscatto dalla povertà.
Le politiche finora condotte da alcuni di questi paesi sembrano a volte aver privilegiato pesantemente gli investimenti sui contesti urbani, dove già le condizioni di vita sono migliori, a scapito delle zone agricole, meno visibili sul piano dell'immagine internazionale ( R. Dumont " l'Africa Strangolata").
Se le conseguenze sul piano economico sono sotto gli occhi di tutti e la loro denuncia viene portata avanti dai movimenti antiglobalizzazione, balzati alla cronaca recentemente, minor attenzione viene riservata ai mutamenti culturali collaterali che rappresentano una perdita altrettanto grave per tutta l'umanità.
Perciò se si pone come obiettivo la salvaguardia del patrimonio culturale di un popolo, si dovranno tenere ben presenti i meccanismi prodotti dall'incontro di modelli culturali così diversi, per raggiungere una vera integrazione culturale, che rappresenta un grande arricchimento per tutti.
Non va per esempio dimenticato che la cultura africana è caratterizzata dall'oralità, e che nella tradizione occidentale pare invece implicitamente scontato che là dove non c'è scrittura non ci sia cultura. Tierno Bokar diceva: " Una cosa è la scrittura e una cosa è il sapere. La scrittura è la fotografia del sapere, ma non è il sapere" (Hampatè Ba " Aspetti della civiltà africana"). Quest'aspetto va tenuto costantemente presente quando si interviene con progetti di tipo educativo: essi non vengono calati nel nulla, ma devono integrarsi in un ampio contesto di cultura orale.
Ormai il mondo sta diventando un unico grande villaggio; l'interdipendenza tra le sue diverse parti è destinata ad aumentare e si fa perciò sempre più pressante la necessità di salvaguardare la specificità di ogni contesto culturale, che risulta più difficile se non si possiedono gli strumenti di base, quali l'alfabetizzazione e l'accesso alle informazioni. Tali strumenti rappresentano la condizione indispensabile alla conservazione della propria specificità culturale e ad uno sviluppo economico autoprodotto, sono strumenti indispensabili al miglioramento delle condizioni di vita in un'ottica di indipendenza ed autonomia.
Pertanto l'impatto del turismo su questi contesti può risultare devastante, portando alla diffusione di modelli consumistici vissuti come modelli "ricchi" e "forti" in conflitto con il sistema di valori autoctono, con il rischio di innestare falsi bisogni, e perciò una dipendenza ancora maggiore dal punto di vista economico e culturale e provocando la perdita di un patrimonio di cultura e conoscenza inestimabile. Perciò ora si va diffondendo la raccomandazione di operare un turismo "responsabile", rispettoso delle culture locali, ma forse ciò non sarà sufficiente, sia perché tale approccio rispettoso viene praticato da pochi, sia perché il potere di condizionamento di questi modelli di identificazione è estremamente forte.
Non rimane allora altra soluzione che lo sviluppo di propri strumenti culturali che permettano un approccio critico ai modelli che vengono diffusi e pubblicizzati dalla società consumistica, affinché un popolo possa responsabilmente ed autonomamente decidere il corso della sua storia.
Per quanto riguarda l'istruzione in linea generale il MALI come tutti i paesi dell'Africa Occidentale ha un sistema educativo Statale che segue il modello imposto dalle ex potenze coloniali, con 3 livelli di istruzione: Elementare- secondaria- superiore. Nella maggior parte del Paese in teoria l'istruzione di base è alla portata di tutti.
In pratica però la possibilità di frequentare la scuola e di continuare a studiare non dipendono tanto dal rendimento scolastico, quanto dal reddito della famiglia. I bambini poveri non possono permettersi di pagare le rette scolastiche, le divise e nemmeno i libri specialmente se vogliono proseguire negli studi ed è più facile che i bambini delle famiglie povere vengano mandati nei campi a lavorare per contribuire al sostentamento della famiglia.
Inoltre non ci sono abbastanza scuole soprattutto nelle zone rurali. In molte scuole ci sono 2 turni uno al mattino ed uno al pomeriggio con classi fino a 100 bambini divisi in gruppi di più bambini per banco con penne e libri in comune.

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